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Rette Residenze sanitarie assistenziali. Consiglio di Stato: non può esistere un diritto alla salute ‘a tempo’
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Articolo di Claudia Moretti
7 giugno 2019 11:18
 
  Il Consiglio di Stato, con sentenza pubblicata il 21 marzo scorso * ha chiarito un importante aspetto dell'interpretazione normativa in materia di Lea (Livelli Essenziali di Assistenza) e di diritto alla salute, in relazione alla cura ed ai ricoveri nelle Residenze sanitarie Assistenziali (RSA) dei soggetti non autosufficienti e degli anziani: se il malato continua ad esser tale, anche dopo che siano trascorsi i tempi previsti per le cure intensive ad esclusivo carico del Servizo Sanitario Nazionale (SSN), anche della fase di “lungoassistenza” i costi saranno a carico delle Aziende Sanitarie Locali (Asl) competenti (e non come adesso per metà quota a carico dei comuni e dell'utente).

La pronuncia si inserisce in un più ampio contesto. L'azione promossa da alcune associazioni che tutelano le persone disabili e gli anziani, aveva principalmente ad oggetto la riforma della sentenza del Tar Lazio, concernente la legittimità del Dpcm con cui si sono riformati i LEA (del 12.01.2017).
In questo contesto, però i giudici si sono pronunciati, fra le altre cose, anche sul riparto dei costi di ricovero nella “lungoassistenza” e sull'applicabilità dei limiti temporali relativi alle cure ai soggetti non autosufficienti ed anziani ricoverati in struttura,
Ed invero, le normative secondarie (ex decreto LEA DPCM 29 novembre 2001, poi sostituito dai nuovi LEA come definiti nel DPCM 12.01.2017) prevedono, in contrasto con la norma primaria e con l'art. 32 della Costituzione, che la copertura integrale del SSN avvenga solo per 30, 60 o al massimo 18 o 36 mesi, dopo di che il costo diviene in parte a carico di Comuni ed utenza (la cosiddetta quota sociale).
Il Consiglio di Stato, invece, ha ritenuto che tali limiti temporali (oggi le famiglie pagano circa 1500 euro al mese a titolo di quota sociale, per capirsi), non possono elidere il nucleo essenziale del diritto alle cure. E se le condizioni di salute e di bisogno permangono dopo i predetti tempi, il SSN deve continuare a farsi carico integralmente dei costi. In altre parole, ai fini del riparto, contano le terapie necessarie alla cura e non i tempi che occorrono per effettuarle.
Tali limiti, che oggi costituiscono un tetto massimo di copertura dei costi da parte del SSN, a parere dei giudici, cozzano, se rigidamente applicati, con la normativa di rango primario e costituzionale. Essi, devono, infatti, esser ritenuti “meramente indicativi” e, laddove il paziente, al termine del periodo intensivo, abbia ancora bisogno di (lungo) assistenza socio-sanitaria a prevalente carattere sanitario (e non meramente socio assistenziale), essa è ad integrale carico del SSN.
Un malato con patologie croniche ingravescenti, che riceve prestazioni socio-sanitarie “ad alta integrazione sanitaria” (art. 3 septies d.lgs 502/92), è improbabile che dopo 30, 60, 18 mesi o 36 mesi possa tornare alla normalità. E' probabile che sia ricoverato a lungo, e a tempo indeterminato in Rsa e, in tal caso, i costi delle prestazioni spettano all'Asl di competenza.

Si tratta di una pronuncia importante, che avvalora e rende concreto il diritto alla salute di molti anziani e/o soggetti non autosufficienti. Importante anche per le loro famiglie, su cui ancora troppo spesso gravano, illegittimamente, i costi del ricovero.
E' anche utile a prender coscienza che i costi dell'assistenza agli anziani non autosufficienti sono e saranno sempre più esplosivi, in un periodo di invecchiamento della popolazione e di contemporaneo miglioramento delle possibilità terapeutiche. Occorre allora porsi una questione importante di risorse e di bilancio e di correlate scelte politiche.

* Si ringrazia l'Avv. Maria Luisa Trezza del foro di Venezia per la segnalazione
 
 
 
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