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 L’antisemitismo è profondamente assurdo – ecco perché
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
18 maggio 2024 10:13
 
 Il proditorio  barbaro attacco dei terroristi di Hamas agli inermi abitanti dei kibbutz israeliani vicini alla striscia di Gaza del 7 ottobre 2023, con 1200 morti, di cui molti seviziati e donne stuprate, e circa 250 persone, tra cui bambini, presi in ostaggio, ha suscitato una violenta implacabile reazione ordinata da Netanjahu contro gli abitanti della striscia di Gaza allo scopo, afferma lui, di distruggere tutti i membri di Hamas.
La vera tragedia, per il mondo intero, è che questo accecante desiderio di vendetta sta invece distruggendo la popolazione palestinese sia con le armi delle forze aeree e terrestri sia a causa della fame, delle malattie, delle ferite che non è possibile curare come si deve. A tutt’oggi 35.000 (secondo il ministero della Sanità di Hamas) risultano essere i morti e più del doppio i feriti.
 
Ora mi pare sia giusto dire con chiarezza un paio di cose:

Hamas, con le sue nefandezze, NON rappresenta tutti i Palestinesi; Netanjahu NON rappresenta tutti gli Israeliani e, men che meno, tutti gli Ebrei del mondo.
Infatti, che cosa c’entrano gli Ebrei, per esempio i nostri concittadini, con la politica di Netanjahu o, in generale, di Israele? Oltre tutto nessuno di loro la approva, anzi essa causa loro un'enorme sofferenza, e molte sono le testimonianze in questo senso, a patto che le si voglia trovare e ascoltare.
E, ancora, come si può dare a tutto il popolo israeliano la responsabilità di ciò che fa il governo israeliano odierno?
Sarebbe lo stesso se dei misfatti del fascismo si volesse dare la colpa a tutti gli Italiani, molti dei quali, anzi, furono perseguitati, incarcerati, assassinati dal regime di Mussolini. I gravi errori dell’attuale governo israeliano sono, invece, contestati da gran parte della popolazione di questo Paese in molte  manifestazioni, e non solo da ora.
In Israele ci sono molte voci che esortano alla pace, esigono con forza il rispetto della componente palestinese dello Stato di Israele e chiedono con altrettanta chiarezza che in quel territorio abitato da due popoli ci siano due Stati con pari diritti e dignità.
 
Ed ecco due testimonianze che vanno in questo senso.
La prima l’ho ripresa da un articolo del sociologo e politologo Slavoj Žižek, comparso su “La Stampa” del 16 maggio col titolo “E’ la disperazione delle nostre società che alimenta le proteste per la Palestina”. In esso egli trascrive il messaggio del 7 maggio di un consistente gruppo di intellettuali ebrei israeliani, in cui si invitano gli Stati UE, il Regno Unito e gli altri Stati a “riconoscere senza indugi lo Stato di Palestina”:
«In seguito al brutale massacro di Hamas del 7 ottobre e alla conseguente distruzione da parte di Israele di vite umane e di infrastrutture nella Striscia di Gaza, noi – israeliani impegnati per il futuro democratico dei due popoli – siamo convinti che la comunità internazionale debba agire con chiarezza per realizzare la soluzione dei due Stati. Il riconoscimento dello Stato di Palestina come membro a pieno titolo delle Nazioni Unite sarebbe un passo avanti importante lungo questa strada. Il riconoscimento dello Stato di Palestina è una questione di principio e di giustizia storica. È anche un modo per ridare un’altra possibilità alla pace in questa regione così dilaniata dalla guerra. Un’impresa diplomatica così significativa farebbe piazza pulita di ogni forma di ambiguità che ha macchiato l’intero “processo di pace” fin dall’inizio, rimetterebbe in moto la diplomazia e obbligherebbe le parti in conflitto, e così pure i principali attori internazionali, a dar prova di senso di responsabilità. A questo proposito, accogliamo positivamente la notizia che Spagna, Irlanda, Malta e Slovenia intendono annunciare presto di riconoscere lo Stato di Palestina sostenendone la piena adesione alle Nazioni Unite. Facciamo appello agli altri stati membri dell’Ue, al Regno Unito e agli altri Stati affinché compiano questo passo importante per realizzare la soluzione dei due Stati. Questa guerra non deve diventare l’ennesimo capitolo della lunga storia di violenza tra israeliani e palestinesi. Riconoscere subito lo Stato di Palestina: non esiste un modo migliore per ripristinare la fiducia nella diplomazia».

L’altro documento, che propongo, col permesso della rivista che lo ha pubblicato, l’ho trovato su "Riflessi di Menorah”  del  13 maggio a firma di Angelica Edna Calò Livnè* . La sua testimonianza su cosa significa essere in guerra da 220 giorni e sulla necessità di costruire la pace si intitola “Resistere alla guerra, sperare sempre nella pace”. 
“Un tonfo assordante mi fa svegliare con un sussulto. Guardo l’orologio frastornata…ho dormito solo tre ore…
Si può continuare a vivere normalmente con tre sole ore di sonno ogni notte?
Si può continuare normalmente a vivere in generale quando ci sono ancora 130 pezzi della tua anima persi in un nulla sconosciuto? Quando non sei in casa tua da 7 mesi? Quando dormi con un fucile vicino al letto? Quando la tua nipotina di 4 anni ti chiede: “Nonna, cos’è la guerra?”
Chi è nato in Italia, in Francia o nei vicini dintorni, come me, dopo il 1945, non può immaginare veramente cosa sia la guerra. Non può immaginare il dolore, l’apprensione, l’impotenza delle due parti, di tutti coloro che sono coinvolti nella spirale della violenza.
La guerra non è quella che si vede nei film. Il sangue è vero, i feriti, i mutilati, le famiglie distrutte sono vere. Le madri e i padri che non hanno più voglia di vivere senza il proprio figlio sono una realtà. La guerra, chi la vive, chi ce l’ha in casa, la sente anche nelle ossa, nei muscoli dolenti, negli occhi che bruciano di giorno e di notte. Chi incita alla guerra non sa cosa questa sia. Chi incita alla cancellazione di un popolo e si schiera da una sola parte, non conosce l’odore del fumo dei campi arsi dopo il fragore di un razzo, di una bomba. Chi si rifiuta di ascoltare le ragioni dell’altro, non ha mai sentito le grida di aiuto di chi soccombe.
Ho chiesto a mio figlio, appena tornato dal fronte: “Amore mio, è vero quello che dichiara Nasrallah? Che stanno vincendo?”
Mamma, dal primo momento che muore qualcuno da questa parte o dall’altra, abbiamo perso entrambi!!!!! Solo in pace vincono tutti!!!!!
Questo giovane padre è cresciuto a Sasa, in questo kibbutz di frontiera dove da sempre studiano, lavorano nei campi, insieme ebrei, cristiani, musulmani, drusi, gente di destra, di sinistra…esseri umani di lingue, culture e mentalità diverse, in armonia e nel rispetto completo uno dell’altro…come potrebbe pensare altrimenti! Se possiamo vivere uno accanto all’altro, fianco a fianco a Sasa, Baram, Hurfeish, Safsufa, Fassuta, Zfat e in tanti altri villaggi, kibbutzim e moshavim perché non potremmo condividere questo pezzetto di terra con chi vive intorno a noi? Perché non sfruttare le nostre menti fertili per costruire, migliorare, per sviluppare la ricerca e l’innovazione in tutti i campi?
La Giordania, l’Egitto, l’Arabia Saudita hanno capito il segreto della vita, sono al nostro fianco…come facciamo a farlo capire agli altri?  Come si fa a reclutare guerrieri della pace?" (la sottolineatura è mia)

* Angelica Edna Calò Livnè , nata a Roma nel 1955, si trasferì in Israele all’età di 20 anni, è educatrice e attivista per la pace, ha dato vita alla Fondazione Beresheet LaShalom (Un inizio per la pace), nel 2005 è stata candidata al premio Nobel per la pace.
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