Saluto con piacere questo
Disegno di Legge (DdL) e gli auguro quanto meno di suscitare interesse e dibattito sull'argomento. E' una proposta molto realistica, perché
chiede semplicemente che l'otto per mille (OPM) sia distribuito soltanto nella misura delle scelte espresse, facendo tornare nelle casse dello Stato la somma residua. Anche se il suo obiettivo è modesto, il DdL Poretti/Perduca troverà sicuramente delle difficoltà sul suo cammino, perché c'è bisogno, prima di tutto, del "placet" della Chiesa cattolica, a favore della quale l'OPM fu inventato proprio col meccanismo, di cui adesso si chiede la modifica. E poi, correttezza vuole che siano sentite anche le altre confessioni religiose che accettano le quote non espresse. Mentre gli offro il mio sostegno, colgo l'occasione per tornare a riflettere su alcuni punti dell'OPM.
Otto per mille: fra dubbia costituzionalità …
Come è mia abitudine dichiaro esplicitamente il mio pensiero.
Vorrei che l'otto per mille (OPM)
fosse abolito del tutto, perché, a mio avviso, non si giustifica in nessun modo razionale e ragionevole che lo Stato finanzi coi soldi di tutti qualsivoglia confessione religiosa. A ben vedere, fra l'altro, nel nostro caso si compie un atto di dubbia costituzionalità per quanto riguarda
l'art. 3 della nostra
Costituzione che proclama l'uguaglianza dei cittadini "
senza distinzione di sesso, di razza, di lingua,
di religione …" e forse anche
l'art. 2, là dove "la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità …". Infatti l'OPM, allo stato attuale è un vero e proprio privilegio, di cui godono solo cinque confessioni religiose (oltre lo Stato, ma sorvoliamo); e anche se si moltiplicassero le intese,
questo contributo statale non riuscirebbe mai a soddisfare il principio di eguaglianza dei cittadini, perché esso comunque si rivolge a dei gruppi organizzati sulla base di un "credo religioso", e
per ciò stesso esclude tutti coloro che un tale credo non hanno e tutti coloro che, pur avendone uno, non appartengono a nessuna chiesa. Eppure i soldi dello Stato sono anche loro. Eppure il famoso
ordine del giorno del 17 aprile 1985, proposto dal gruppo radicale presente alla Camera in sede di discussione della futura L. 225/1985 (la fonte dell'OPM), e accolto all'unanimità, nel terzo punto, esprimeva interesse anche per le confessioni religiose "con le quali non vi sono intese". Ma questo aspetto è rimasto lettera morta.
…e furbizie di bassissima lega…
Del resto, anche la stipula di un'intesa, come è tristemente noto, non risolve i problemi di un corretto rapporto fra Stato e confessioni religiose, di cui il godimento dell'OPM è solo un aspetto.
E' bene ricordare, infatti, che l'intesa dispiega i suoi effetti solo dopo che è stata ratificata dai due rami del Parlamento. Ci sono esimî esempi di intese firmate e non ratificate dopo anni e anni. Due quelli davvero plateali. Il 20 marzo 2000 furono firmate le intese con la Congregazione dei Testimoni di Geova e l'Unione dei Buddhisti italiani (UBI) che caddero subito nel dimenticatoio. Se ne sentì riparlare solo sette anni dopo, quando, nell'aprile 2007 fu data la notizia che il Governo aveva firmato delle nuove intese con 6 confessioni religiose … anche con l'Unione Buddhista italiana e con la Congregazione dei Testimoni di Geova! Sono già passati due anni e mezzo, ma niente sembra muoversi sul fronte della loro ratifica. C'è chi afferma che alla chiesa cattolica non piaccia l'intesa con i Testimoni di Geova e che quindi stia usando tutto il suo potere perché essa non sia ratificata. Sarà vero? Non lo so, ma so che, fintanto che esiste una certa legge, lo Stato è tenuto ad applicarla. Ritengo quindi che il Governo dimostri ignavia, slealtà e disprezzo per le leggi della Repubblica nella misura in cui non ha il coraggio di dire ai Testimoni di Geova "No, tu no!", e invece, firma l'intesa con loro e poi di fatto ne impedisce la ratifica, penalizzando anche tutte le altre confessioni che hanno avuto la (s)ventura di aver firmato la propria intesa nello stesso giorno.
Il DdL Poretti/Perduca
Come ho già osservato, riconosco a questo DdL un grande senso pratico e desidero sostenerlo, perché sono d'accordo col detto popolare che afferma: "meglio un uovo oggi che una gallina domani".
Esso infatti chiede semplicemente che l'OPM sia distribuito soltanto nella misura delle scelte espresse. Ciò recherebbe un discreto vantaggio economico allo Stato (nella situazione attuale lo Stato si riprenderebbe più della metà della cifra messa a disposizione), mentre sarebbe salvato lo spirito della riforma del Concordato.
Il vantaggio per lo Stato salta agli occhi facendo due conti.
Nel 2008 (ultimo dato sicuro di cui sono in possesso) l'ammontare OPM è stato di euro 948.583.048,73.
Le scelte espresse sono state pari al 41,83% del totale dei contribuenti.
Dato il meccanismo attuale dettato dall'art. 47 della L. 222/1985 tutta la cifra a disposizione è stata distribuita in due battute: prima il 41,83% (pari a euro 396.792.289,28) a tutti i beneficiari secondo l'indice di gradimento dei firmatari, e poi il restante 58,17% (pari a euro 551.790.759,45), sempre secondo l'indice di gradimento dei firmatari, ma questa volta solo a coloro che hanno accettato la quota non espressa (tutti meno le ADI e i Valdesi).
Ebbene, secondo il DdL Poretti/Perduca
lo Stato avrebbe reintroitato quei quasi 552 milioni di euro (il 51,87% pari alle preferenze non espresse). Una bella cifra pari quasi sei volte e mezzo di quei miseri 85 milioni di euro, che lo Stato continua da anni ad autoscipparsi dal proprio OPM, per "il miglioramento dei saldi della finanza pubblica" e per altri scopi, fra cui, nel 2008, quello di "parziale copertura degli oneri recati dall'abolizione dell'ICI sulla prima casa" (per una precisa e oggettiva disamina vedere, per es., il
Resoconto della discussione sullo schema di DPCM OPM statale 2008 del 24 settembre 2008 in seno alla V Commissione Bilancio .
E si consideri che, in questo conteggio che ho appena fatto, ho lasciato lo Stato fra i beneficiari OPM, come del resto vuole il DdL di cui stiamo parlando.
Lo spirito della riforma del Concordato del 1984 sarebbe peraltro rispettato, dato che, in origine, l'OPM doveva semplicemente assicurare che la Chiesa cattolica non perdesse il finanziamento annuo statale legato alla congrua (cioè l'assegno che lo Stato pagava direttamente ai parroci per consentire loro un tenore di vita dignitoso).
Nel 1989, l'ultimo anno della "congrua",
lo Stato sborsò la somma di circa 406 miliardi di lire (pari a 210 milioni di euro), di cui 399 miliardi di lire rappresentavano la congrua vera e propria e altri 7 miliardi un contributo per la nuova edilizia di culto
(
CEI: OPM-destinazione ed impieghi , p. 3). E questa, infatti, fu la cifra che lo Stato assegnò alla Chiesa dal 1990 al 1992 (il primo conguaglio partì dal 1993).
Nel caso che nel 2008 fosse stato in vigore quanto proposto da Poretti/Perduca, alla Chiesa cattolica sarebbe toccata la somma di euro
356.398.834,23 (invece della somma di
1.002.513.715,31 -di cui euro 928.364.294,37 come acconto per la denuncia dei redditi del 2008, ed euro 74.149.420,94 a titolo di conguaglio per la denuncia dei redditi del 2005).
Ebbene se nel 2008 la Chiesa avesse introitato "solo" 356 milioni di euro, non si sarebbe in linea con lo spirito del Concordato, visto che la Conferenza episcopale italiana, per il 2008, ha assegnato al sostentamento di tutto il clero diocesano ( e non solo dei parroci) una somma appena più elevata, cioè 374 milioni di euro? D'altro canto, non si può dimenticare che la Chiesa cattolica è beneficiaria anche di tanti altri vantaggi diretti e indiretti: offerte deducibili dall'imponibile del donatore, esenzioni e sconti di vario genere e in diversi settori, che peraltro non mi interessa qui di enumerare. Ma tanti e tali privilegi ci sono, e, così stando le cose, credo che anche i vertici CEI e vaticani dovrebbero convenire che quegli ulteriori "soli" 356 milioni dell'OPM sarebbero un qualcosa di veramente gratuito che arriva loro da parte dello Stato, vale a dire di tutti i contribuenti -cattolici e non cattolici, credenti e non credenti. Anche se qualcuno resterà sempre a mugugnare che i soldi alla Chiesa sono "dovuti" e non sono mai troppi. Ma qui siamo di fronte molto all'umana fragilità e davvero poco, per non dire niente, al messaggio di Gesù che non si è mai stancato di mettere i suoi seguaci in guardia da Mammona, cioè il culto della ricchezza. D'altra parte, chissà: se la Chiesa accettasse solo la quota espressa dell'OPM, non potrebbe vedersi aprire altre fonti di finanziamento davvero volontarie perché provenienti dalle tasche dei privati? Non potrebbero essere sollecitati ad aprire maggiormente i cordoni della borsa quei suoi fedeli più abbienti, di cui adesso lamenta la scarsa generosità? Le vie del Signore sono davvero infinite; gli unici a non crederci, specialmente in fatto di soldi, sembra che siano proprio i preti.
E dopo: un altro passo avanti
Pur estando nell'ottica del realismo politico, voglio spingermi però un passo ancora avanti per auspicare che lo Stato si spogli della sua veste di beneficiario dell'OPM. A guardare con occhi disincantati fa davvero ridere questa doppia valenza dello Stato, benefattore e beneficiario ad un tempo. Un contorsionismo ipocrita ispirato, come ho ricordato tante volte, alla necessità di non far apparire il denaro attribuito alla chiesa cattolica come una regalia, perché in tal caso si sarebbe incorsi nella più totale incostituzionalità, ma come una "democratica" scelta dei contribuenti. Ma la necessità di tale contorsionismo è venuta meno fin dal 17 aprile 1985, quando, in virtù dell'approvazione all'unanimità alla Camera del già ricordato Ordine del Giorno radicale, il Governo estese il beneficio dell'OPM anche alle confessioni religiose firmatarie di un'intesa.
Infatti, da quel momento, la Chiesa cattolica ha ricevuto altri validi concorrenti all'OPM e quindi nel teatrino dell'OPM lo Stato non ci rappresenta più nulla.
Non solo. Uscendo da esso ci guadagnerebbe parecchi soldi, cosa di cui ha un bisogno dannato, dato che continua a taglieggiare la propria fetta OPM. Ma se abolisce l'OPM statale non solo potrebbe disporre di tutta la cifra adesso assegnatagli dai contribuenti, ma risparmierebbe anche sulle spese legate all'istruzione delle pratiche relative alle richieste di finanziamento. A mettermi la "pulce nell'orecchio" è stato un passaggio della oggettiva ed esaustiva
relazione sullo schema di DPCM per la ripartizione dell'OPM statale svolta dall'on. Gaspare Giudice (Pdl) davanti alla Commissione Bilancio della Camera il 24 settembre 2008. Egli ha infatti osservato che, data l'esiguità dei progetti finanziati negli ultimi anni (nel 2008 appena 7 progetti per soli 3 milioni e mezzo di euro), "
i costi per la predisposizione dei progetti e per la loro valutazione risultano probabilmente superiori all'importo distribuito". In effetti, per valutare attentamente il migliaio e passa di domande che arrivano ogni anno al Governo (nel 2008 sono state 1.168) ci vuole davvero un bello stuolo di impiegati e funzionari che, se liberati da questo lavoro, nei fatti praticamente quasi inutile, potrebbero dedicarsi ad altre attività più importanti con beneficio di tutti quanti. Dunque,
un nuovo risparmio secco
di altri 3 milioni di euro, se l'on. Giudice ha parlato con cognizione di causa, come penso abbia fatto.
Alla fine della fiera, dunque, un bel risparmio complessivo di soldi e di energie e un'aria un po' più respirabile. Perché si respira meglio ovunque vi sia chiarezza e onestà di intenti, di mezzi e di azioni.