Il DDL di riforma della diffamazione a mezzo stampa ha incassato il primo sì alla Camera e ora passa al Senato. Si sono alzate in questi giorni più voci che invitano i senatori a riflettere sull’importanza di questa legge che non può essere licenziata con la solita fretta della decretazione d’urgenza. In particolare si sottolinea l’ importanza del principio di proporzionalità indicato dalla giurisprudenza della Convenzione europea dei diritti dell’ uomo (CEDU), in materia. Il nostro Legislatore quando in Senato andrà a riconsiderare il provvedimento dovrà ispirarsi al meccanismo del bilanciamento dei diritti in gioco e all’applicazione del principio di proporzionalità.
Questo significa costruire una disciplina dove si indicano dei parametri di riferimento entro cui il giudice possa orientare il proprio giudizio. Significa altresì rifuggire da valutazioni “secche” e aprioristiche (prive di significato reale) come il risarcimento dei danni senza limiti a carico del giornalista e dell’editore e come il tetto massimo dei 10.000 euro a carico del querelante temerario (che magari è una multinazionale!).
Proporzionalità significa anche giustizia nell’applicazione della normativa. Giustizia che obbliga il Legislatore a trattare casi diversi con discipline diverse.
In merito occorre evidenziare l'errore macroscopico della proposta consistente nella applicazione della disciplina della stampa cartacea anche alla stampa elettronica. Due realtà assolutamente differenti devono essere trattate con leggi differenti. Di seguito cercheremo di specificare meglio questo concetto.
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Il DDL Diffamazione il 17 Ottobre 2013 ha incassato il primo SI alla Camera. Ora la palla passa al Senato. Fingendo di essere una voce accreditata, vorrei segnalare gli elementi di pregio della proposta di legge e quelli di difetto su cui varrebbe la pena di fermarsi a riflettere prima di emanare la solita legge in stato di urgenza.
Il reato di diffamazione a mezzo stampa è un’altra materia per cui ci siamo guadagnati nuovamente la palma di sorvegliato speciale da parte dell’Europa che ha avviato l’iter della Commissione Venezia, organo consultivo del Consiglio UE, per verificare se la legge italiana sulla diffamazione e sul conflitto di interessi sia conforme allo standard europeo fondato sulla Convenzione UE dei Diritti Umani.
Proprio il 21 e il 22 Ottobre una delegazione della Commissione Venezia è a Roma in missione ufficiale di inchiesta: incontri programmati con Ministero Giustizia, Parlamento, Corte di Cassazione, Associazione Nazionale Magistrati, rappresentanti del mondo giornalistico. Risulta pertanto opportuno seguire l’illuminante giurisprudenza della Corte di Strasburgo in materia nell’ultima stesura della ppl. Al riguardo possiamo analizzare una delle ultime sentenze della CEDU (CEDU, Sentenza n. 43612/2013, Affaire Belpietro c. Italie) che, sulla scorta dell’orientamento consolidato della stessa Corte, evince quale parametro di riferimento nella materia della responsabilità per diffamazione a mezzo stampa il
PRINCIPIO DI PROPORZIONALITA’.
“EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 10 DE LA CONVENTION
30. Le requérant allègue que sa condamnation pour diffamation a violé son droit à la liberté d’expression, tel que prévu par l’article 10 de la Convention, ainsi libellé :
« 1. Toute personne a droit à la liberté d’expression. Ce droit comprend la liberté d’opinion et la liberté de recevoir ou de communiquer des informations ou des idées sans qu’il puisse y avoir ingérence d’autorités publiques et sans considération de frontière. Le présent article n’empêche pas les Etats de soumettre les entreprises de radiodiffusion, de cinéma ou de télévision à un régime d’autorisations.
2. L’exercice de ces libertés comportant des devoirs et des responsabilités peut être soumis à certaines formalités, conditions, restrictions ou sanctions prévues par la loi, qui constituent des mesures nécessaires, dans une société démocratique, à la sécurité nationale, à l’intégrité territoriale ou à la sûreté publique, à la défense de l’ordre et à la prévention du crime, à la protection de la santé ou de la morale, à la protection de la réputation ou des droits d’autrui, pour empêcher la divulgation d’informations confidentielles ou pour garantir l’autorité et l’impartialité du pouvoir judiciaire. »
…..54. Il convient de rappeler, enfin, que dans des affaires comme la présente, qui nécessitent une mise en balance du droit au respect de la vie privée et du droit à la liberté d’expression, la Cour considère que l’issue de la requête ne saurait en principe varier selon qu’elle a été portée devant elle, sous l’angle de l’article 8 de la Convention, par la personne faisant l’objet du reportage ou, sous l’angle de l’article 10, par l’éditeur qui l’a publié.
La Corte considera che l’esito della richiesta non potrà variare a seconda che venga portata la questione di fronte ad essa, in termini dell’art. 8 della Convenzione, per la persona oggetto della relazione, o in termini dell’art. 10 per l’editore che l’ha pubblicata.
En effet, les droits respectivement garantis par ces dispositions méritent a priori un égal respect.
In effetti, i diritti rispettivamente garantiti da queste disposizioni meritano a priori un uguale rispetto. Dès lors, la marge d’appréciation devrait en principe être la même dans les deux cas.
Pertanto, il margine d’apprezzamento dovrà in principio essere lo stesso per entrambi i casi.
Si la mise en balance par les autorités nationales s’est faite dans le respect des critères établis par la jurisprudence de la Cour, il faut des raisons sérieuses pour que celle-ci substitue son avis à celui des juridictions internes (MGN Limited c. Royaume-Uni, no 39401/04, §§ 150 et 155, 8 janvier 2011 ; Palomo Sánchez et autres c. Espagne [GC], nos 28955/06, 28957/06, 28959/06 et 28964/06, § 57, ECHR 2011-.. ; et Von Hannover c. Allemagne (no 2) [GC], nos 40660/08 et 60641/08, §§ 106-107, ECHR 2012-..).
Se il bilanciamento eseguito dalle autorità nazionali è fatto con il rispetto dei criteri stabiliti dalla giurisprudenza della Corte, devono esserci gravi ragioni per sostituire alla giurisprudenza della Corte quella delle giurisdizioni interne.
ii. Application de ces principes au cas d’espèce
58. Il est vrai que l’affaire Perna concernait la condamnation de l’auteur de l’article, alors que la présente affaire porte sur la condamnation du directeur du journal dans lequel l’article avait été publié, pour avoir omis d’exercer le contrôle nécessaire à la prévention de la commission d’infractions par voie de presse. Cependant, la Cour ne saurait ni considérer comme contraire à la Convention l’article 57 du CP, qui pose ce devoir de contrôle (paragraphe 7 ci-dessus), ni estimer que la qualité de membre du Parlement de l’auteur d’un article puisse automatiquement exonérer le directeur d’un journal de toute obligation de refuser la publication d’affirmations diffamatoires. Conclure autrement équivaudrait à attribuer aux députés et aux sénateurs le droit inconditionné de publier et diffuser par la presse toute opinion liée à l’exercice de leur mandat parlementaire, si insultante soit-elle. A cet égard, la Cour rappelle que la liberté d’expression des élus du peuple n’est pas illimitée ; elle a estimé, notamment, qu’elle ne saurait justifier un déni total d’accès à la justice lorsque des affirmations perçues comme diffamatoires par autrui sont faites par un membre du Parlement en l’absence d’un lien évident avec une activité parlementaire (voir, entre autres, Cordova (no 1), précité, §§ 59-66). Le requérant n’était donc pas exempté de son devoir de contrôle, et cela d’autant plus au vu des antécédents de M. R.I. qui, en dépit de sa qualité de sénateur, avait déjà fait l’objet de condamnations pénales définitives pour diffamation (paragraphes 22-25 ci-dessus).
58.E’ vero che l’affare Perna concerne la condanna dell’autore dell’articolo, mentre il presente caso si concentra sulla condanna di un direttore di giornale dove l’articolo è stato pubblicato, per aver omesso l’esercizio del controllo necessario alla prevenzione dell’esecuzione di infrazioni mediante la stampa. Tuttavia, la Corte non può nè considerare come contrario alla Convenzione l’articolo 57 del Codice Penale che ha posto questo dovere di controllo; nè valutare che la qualità di membro del Parlamento dell’autore di un articolo possa automaticamente esonerare il direttore del giornale da qualsiasi obbligo di rifiutare la pubblicazione di affermazioni diffamatorie. Concludere altrimenti, equivarrebbe ad attribuire ai deputati e ai senatori il diritto incondizionato di pubblicare e diffondere tramite la stampa qualsiasi opinione relativa all’esercizio del loro mandato parlamentare, anche se offensive. A questo riguardo, la Corte rammenta che la libertà di espressione di un eletto dal popolo non è illimitata; la Corte ha considerato,in particolare, che non può essere giustificato un diniego totale di accesso alla giustizia quando delle affermazioni percepite dagli altri come diffamatorie sono fatte da un membro del Parlamento in assenza di un chiaro legame con l’attività parlamentare. Il ricorrente non è stato dunque esentato dal proprio dovere di controllo, e tanto più stante gli antecedenti di M.R.I. che, nonostante la sua qualità di senatore, era già stato oggetto di condanne penale per diffamazione.
60. A la lumière de ce qui précède, la Cour ne saurait conclure qu’une condamnation à l’encontre du requérant était en soi contraire à l’article 10 de la Convention.
60.Alla luce di quanto precede, la Corte non può concludere che una condanna nei confronti del ricorrente sarebbe di per sé in contrasto con l’articolo 10 della Convenzione.
61. Il n’en demeure pas moins que, comme rappelé au paragraphe 53 ci-dessus, la nature et la lourdeur des peines infligées sont aussi des éléments à prendre en considération lorsqu’il s’agit de mesurer la proportionnalité de l’ingérence. Or, en l’espèce, outre la réparation des dommages (pour un montant total de 110 000 EUR), le requérant a été condamné à quatre mois d’emprisonnement (paragraphe 18 ci-dessus). Bien qu’il y ait eu sursis à l’exécution de cette sanction, la Cour considère que l’infliction en particulier d’une peine de prison a pu avoir un effet dissuasif significatif. Par ailleurs, le cas d’espèce, portant sur un manque de contrôle dans le cadre d’une diffamation, n’était marqué par aucune circonstance exceptionnelle justifiant le recours à une sanction aussi sévère. Ceci permet de distinguer la présente affaire de l’affaire Perna, précitée, où la peine infligée était une simple amende.
62. La Cour estime que, à cause de la mesure et de la nature de la sanction imposée au requérant, l’ingérence dans le droit à la liberté d’expression de ce dernier n’était pas proportionnée aux buts légitimes poursuivis (voir, mutatis mutandis, Koprivica c. Monténégro, no 41158/09, §§ 73-74, 22 novembre 2011).
63. Il y a donc eu violation de l’article 10 de la Convention.
61.Resta il fatto che, come si rammenta al paragrafo 53, la natura e la severità delle pene inflitte sono anch’essi degli elementi da prendere in considerazione quando si tratta di valutare la proporzionalità dell’ingerenza. Ora nella specie, oltre alla riparazione dei danni (per un ammontare ttale di 110.000,00 euro), il ricorrente è stato condannato a quattro mesi di prigione. Anche se c’è stata la sospensione di questa sanzione, la Corte considera che l’inflizione di una particolare pena detentiva può avere un effetto deterrente significativo. Inoltre, il caso di specie, che tratta di un mancato controllo nel contesto di una diffamazione, non è stato caratterizzato per nessuna circostanza eccezionale che giustifichi il ricorso a una sanzione così severa. Questo permette di distinguere il presente caso dall’affare Perna in cui la pena inflitta è stata una semplice ammenda.
62. La Corte valuta che, a causa della misura e della natura della sanzione imposta al ricorrente, l’ingerenza nel diritto alla libertà di espressione di quest’ultimo non è stata proporzionata ai legittimi obiettivi perseguiti.
63. C’è dunque una violazione dell’articolo 10 della Convenzione”
(CEDU, Sentenza n. 43612/2013, Affaire Belpietro c. Italie).
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La Corte di Strasburgo ci dice che non tutte le fattispecie sono uguali e che non si può applicare la legge in modo indifferenziato ma occorre ogni volta a cura del giudice procedere a eseguire il bilanciamento dei diritti in gioco (diritto della persona alla reputazione da una parte, diritto alla libertà di espressione e di informazione dall’altra) e, applicando il principio di proporzionalità, addivenire a una sentenza giusta. Secondo quest’ottica, il direttore del giornale che ha omesso il controllo può essere ritenuto responsabile (come nel caso Belpietro) civilmente e penalmente ma non è proporzionato che sia sottoposto anche alla pena del carcere. Allo stesso modo il parlamentare non ha sempre diritto a esprimere liberamente le proprie idee senza ritegno laddove queste siano manifestamente diffamatorie senza la giustificazione dell’acclarata verità dei fatti addotti e senza la giustificazione di affermazioni indispensabili per l’esercizio del proprio mandato di eletto del popolo. Dev’essere in qualsiasi caso il principio di proporzionalità a guidare il giudizio del magistrato.
Come abbiamo detto sopra, quando il Senato andrà a riconsiderare il DDL Diffamazione dovrà ispirarsi al meccanismo del bilanciamento dei diritti in gioco e all’applicazione del principio di proporzionalità. Questo significa costruire una disciplina dove si indicano dei parametri di riferimento entro cui il giudice possa orientare il proprio giudizio. Significa altresì rifuggire da valutazioni “secche” e aprioristiche (prive di significato reale) come il risarcimento dei danni senza limiti a carico del giornalista e dell’editore e come il tetto massimo dei 10.000 euro a carico del querelante (che magari è una multinazionale!).
Proporzionalità significa anche giustizia nell’applicazione della normativa. Giustizia che obbliga il Legislatore a trattare casi diversi con discipline diverse. In merito occorre evidenziare l’ERRORE MACROSCOPICO di questa ppl consistente NELL’APPLICAZIONE DELLA DISCIPLINA DELLA STAMPA CARTACEA ANCHE ALLA STAMPA ELETTRONICA. Due realtà assolutamente differenti devono essere trattate con leggi differenti. Nel prosieguo dell’articolo si specificherà meglio questo concetto.
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Passiamo ora ad analizzare nel dettaglio i pregi e i difetti della ppl nella speranza di contribuire alla doverosa riflessione sul tema alla luce della giurisprudenza CEDU del principio del bilanciamento dei diritti in gioco o del balance e del principio di proporzionalità.
La proposta di legge in itinere così come licenziata dal primo ramo del parlamento ha il
PREGIO di avere abolito la pena del carcere per il reato di diffamazione a mezzo a stampa e di avere finalmente operato un distinguo sulla responsabilità del direttore che adesso non potrà più essere citato per la violazione dell’obbligo di sorveglianza (responsabilità oggettiva) ma solo a seguito di una condotta effettivamente colposa (responsabilità per colpa).
Tuttavia vi sono tante altre lacune abbandonate nell’alveo degli emendamenti tralasciati che rendono necessario un ripensamento della materia.
Leggiamo insieme dunque i punti
IN DIFETTO del DDL Diffamazione.
1. Il primo difetto si riscontra nella
MANCATA DECRIMINALIZZAZIONE del reato di diffamazione a mezzo stampa. Seppur sia stata eliminata la pena detentiva, la diffamazione tramite mass-media rimane un reato. Di conseguenza, il giornalista rimane comunque soggetto sia giudizio penale sia a giudizio civile. Potremmo invece auspicare un sistema come quello inglese in cui la diffamazione è ormai solo una fattispecie di illecito civile. In questo modo sarebbe davvero staccata la pressione di un giudizio penale pendente sulle teste dei giornalisti anche per anni. Nel sistema giuridico inglese, la disciplina applicabile alla diffamazione (la cosiddetta law of defamation) e’ definita in parte dal diritto di matrice giurisprudenziale (common law) ed in parte dal diritto legislativo. E’ una fattispecie che costituisce essenzialmente un illecito civile (tort), e produce un’azione di risarcimento. Soltanto in modo residuale si configura come un reato (offence). Le sanzioni sono ormai essenzialmente legate alla riparazione economica dell’offesa. La diffamazione a mezzo stampa, infatti, e’ stata definitivamente depenalizzata nel 2009. La diffamazione nell’ordinamento inglese si articola nelle due figure del libel e dello slander, a seconda che la lesione alla reputazione ed all’onore venga perpetrata mediante lo scritto, la stampa o – in base alla interpretazione evolutiva del concetto di publication – la radiodiffusione televisiva, oppure oralmente, mediante epiteti ingiuriosi od offensivi. La diffamazione intesa come “libel”, ossia tramite pubblicazione, legittima la parte lesa ad agire in giudizio per ottenere provvedimenti inibitori (injunction) idonei ad interrompere il comportamento lesivo e per richiedere il risarcimento del danno, liquidabile in misura ingente qualora oltre alla compensazione per la lesione patita siano considerate, per i casi piu’ gravi, anche funzioni di deterrenza (exemplary damages). Lo “slander”, invece, e’ un’offesa orale e puo’ dar luogo ad un’azione di risarcimento soltanto se la diffamazione od ingiuria consistano nell’attribuzione di un fatto delittuoso, o se la vittima provi di aver subito un danno materiale
http://www.televideo.rai.it/televideo/pub/articolo.jsp?
id=13883#sthash.FAbUyLhK.dpuf
2. Il secondo difetto si riscontra nella
MISURA TROPPO INGENTE delle
SANZIONI PECUNIARIE: da 5.000 a 10.000 euro oppure da 20.000 a 60.000 euro in caso di consapevolezza della relativa falsità. Considerando che sono pochi i Giornali con entrate tali da sostenere queste sanzioni; men che meno sono i giornalisti in grado di sostenere questo peso; non esiste un fondo assicurativo per le cause di diffamazione; le testate telematiche sono quasi tutte delle start-up; si osserva che le misure pecuniarie sono troppo alte anche nei minimi e che costituiscono di fatto un incentivo all’autocensura. Come invocato da più voci sarebbe stato invece opportuno stabilire delle tabelle di indennizzo proporzionate alle dimensioni economiche del soggetto condannato.
3. Il terzo difetto si riscontra nella
SANZIONE PECUNIARIA DA € 5.000 FINO A € 10.000 PER I CITTADINI OVVERO ANCHE PER I BLOGGER. Ecco dunque che ciò che è stato escluso dalla porta (i blog non sono sottoposti all’applicazione della proposta di legge) rientra dalla finestra. E’ chiaro che così facendo si alimenta un meccanismo di autocensura o di censura su richiesta pur di evitare la condanna a pagare cifre così ingenti da parte di soggetti che curano diari on line per passione, per esprimersi, per comunicare e per informare in modo personale. Vulnus evidente alla libertà di espressione!!!! Anche qui si sarebbe dovuto osservare il principio di proporzionalità indicato dalla CEDU e stabilire la sanzione in proporzione alle possibilità economiche del danneggiante.
4. Il quarto difetto si riscontra nella
SANZIONE PER QUERELA INFONDATA che risulta RISIBILE e INEFFICACE. In modifica all’art. 427 cpp, se il querelato viene assolto il giudice può condannare il querelante a versare una somma da € 1.000 a € 10.000 in favore della Cassa delle ammende. L’emendamento respinto in Aula proponeva di concedere al giudice che rigetta la richiesta di risarcimento la facoltà di condannare il richiedente a versare al giornalista la metà della somma richiesta.
Quest’ultimo poteva essere un effettivo deterrente contro le querele a scopo intimidatorio e censorio.
Tuttavia se vogliamo collocarci in un’ottica di balance quale quella prospettata dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo sarebbe stato necessario valutare la cifra da versare al giornalista ingiustamente querelato in proporzione alle dimensioni economiche del querelante: somma che avrebbe ben potuto essere maggiore della metà della somma richiesta laddove il querelante fosse stato una società per azioni e magari anche quotata in borsa.
5. Il quinto difetto si riscontra nella
MANCANZA DI PROPORZIONALITA’ NEL TETTO MASSIMO DI RISARCIMENTO DANNI. Il giornalista e l’editore rispondono per una quantità illimitata del danno. Questo determina autocensura e ostacolo alla libertà di espressione. Il quantum del danno dovrebbe essere proporzionato alle risorse economiche del danneggiante: occorre una disposizione normativa in questo senso! Altrimenti si rischia di fare pura demagogia. Bello lo spot
del Governo sull’abolizione del carcere per il reato di diffamazione ma nei fatti cosa cambia se non si procede a introdurre un criterio di proporzionalità nelle quantificazioni del risarcimento?
6. Il sesto difetto si riscontra nell’applicazione, in caso di recidiva, della misura INTERDITTIVA DALL’ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE da 1 mese a 6 mesi. Si tratta ancora una volta di un bavaglio alla libertà di espressione. Molto meglio sarebbe stato, come invocato da più parti, il ricorso a un GIURI’ preposto a valutare la condotta del professionista dell’informazione.
7. Il settimo
DIFETTO MACROSCOPICO si riscontra nelle
MODALITA’ DI APPLICAZIONE DELLA RETTIFICA PER L’EDITORIA ELETTRONICA. Come si può pensare di applicare la disciplina della rettifica, istituto di una legge del 1948, alla realtà dell’internet? La Cassazione sez. pen., n. 35511/2010, leading case in materia di responsabilità del direttore della testata on line, ha stabilito che la stampa telematica non è assimilabile alla stampa cartacea in quanto realtà assolutamente diverse e dunque non possiamo applicare in via analogica estensiva la disciplina della legge stampa del 1948 alle fattispecie digitali. Assunta la consapevolezza giuridica dell’impossibilità di accostare la normativa dell’editoria tradizionale a quella digitale, dobbiamo riconoscere di conseguenza anche l’impossibilità e l’assurdità di applicare l’istituto della rettifica alla realtà del web. A cosa serve la rettifica apposta su un articolo di una pagina web conservando la medesima URL come dice il testo della proposta di legge? L’internet è dominato dagli algoritmi dei motori di ricerca che infondono logiche di senso al mare magnum della Rete. Sappiamo che questi algoritmi pescano i contenuti secondo le parole indicate nelle URL e secondo i meta tag presenti nel codice html della pagina web. La rettifica eseguita senza cambiare la URL dell’articolo significa di fatto lasciare che i motori di ricerca continuino a rilanciare la notizia assunta come diffamatoria senza possibilità di accusare il sentore della rettifica nelle ricerche digitali. In definitiva le modalità di apposizione della rettifica così come previste dalla ppl non servono a nulla e la cattiva reputazione ingiustificata continuerà ad alterare l’identità digitale del soggetto leso,
COSTITUENDO INOLTRE UN FORTE AGGRAVIO PER LE REDAZIONI DEI GIORNALI TELEMATICI. L’unico metodo “di buon compromesso” tra le esigenze di tutela della persona e le esigenze di economicità del giornale on line nell’esecuzione della rettifica si individua nell’applicazione del
NO INDEX (ovvero dell’interdizione dai motori di ricerca della pagina web risultata diffamatoria). Così facendo, la notizia
NON VIENE CANCELLATA rimanendo nell’archivio della testata elettronica
MA AL TEMPO STESSO ASSICURA LA TUTELA DELL’IDENTITA’ DIGITALE E DELLA WEB REPUTATION DEL SOGGETTO.
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Nota.
CEDU, Sentenza n. 43612/2013, Affaire Belpietro c. Italie.
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 10 DE LA CONVENTION
30. Le requérant allègue que sa condamnation pour diffamation a violé son droit à la liberté d’expression, tel que prévu par l’article 10 de la Convention, ainsi libellé :
« 1. Toute personne a droit à la liberté d’expression. Ce droit comprend la liberté d’opinion et la liberté de recevoir ou de communiquer des informations ou des idées sans qu’il puisse y avoir ingérence d’autorités publiques et sans considération de frontière. Le présent article n’empêche pas les Etats de soumettre les entreprises de radiodiffusion, de cinéma ou de télévision à un régime d’autorisations.
2. L’exercice de ces libertés comportant des devoirs et des responsabilités peut être soumis à certaines formalités, conditions, restrictions ou sanctions prévues par la loi, qui constituent des mesures nécessaires, dans une société démocratique, à la sécurité nationale, à l’intégrité territoriale ou à la sûreté publique, à la défense de l’ordre et à la prévention du crime, à la protection de la santé ou de la morale, à la protection de la réputation ou des droits d’autrui, pour empêcher la divulgation d’informations confidentielles ou pour garantir l’autorité et l’impartialité du pouvoir judiciaire. »
31. Le Gouvernement s’oppose à cette thèse.
….c) Sur la nécessité de l’ingérence dans une société démocratique
i. Principes généraux
47. La presse joue un rôle éminent dans une société démocratique : si elle ne doit pas franchir certaines limites, tenant notamment à la protection de la réputation et aux droits d’autrui, il lui incombe néanmoins de communiquer, dans le respect de ses devoirs et de ses responsabilités, des informations et des idées sur toutes les questions d’intérêt général, y compris celles de la justice (De Haes et Gijsels c. Belgique, 24 février 1997, § 37, Recueil des arrêts et décisions 1997-I). A sa fonction qui consiste à en diffuser s’ajoute le droit, pour le public, d’en recevoir. S’il en allait autrement, la presse ne pourrait jouer son rôle indispensable de « chien de garde » (Thorgeir Thorgeirson c. Islande, 25 juin 1992, § 63, série A no 239, et Bladet Tromsø et Stensaas c. Norvège [GC], no 21980/93, § 62, CEDH 1999-III). Outre la substance des idées et informations exprimées, l’article 10 protège leur mode d’expression (Oberschlick c. Autriche (no1), 23 mai 1991, § 57, série A no 204). La liberté journalistique comprend aussi le recours possible à une certaine dose d’exagération, voire même de provocation (Prager et Oberschlick c. Autriche, 26 avril 1995, § 38, série A no 313, et Thoma c. Luxembourg, no 38432/97, §§
45 et 46, CEDH 2001-III).
……..50. En particulier, il incombe à la Cour de déterminer si les motifs invoqués par les autorités nationales pour justifier l’ingérence apparaissent « pertinents et suffisants » et si la mesure incriminée était « proportionnée aux buts légitimes poursuivis » (Chauvy et autres c. France, no 64915/01, § 70, CEDH 2004-VI). Ce faisant, la Cour doit se convaincre que les autorités nationales ont, en se fondant sur une appréciation acceptable des faits pertinents, appliqué des règles conformes aux principes consacrés par l’article 10 (voir, parmi beaucoup d’autres, Zana c. Turquie, 25 novembre 1997,
§ 51, Recueil 1997-VII ; De Diego Nafría c. Espagne, no 46833/99, § 34, 14 mars 2002 ; Pedersen et Baadsgaard précité, § 70).
….52. Le droit des journalistes de communiquer des informations sur des questions d’intérêt général
est protégé à condition qu’ils agissent de bonne foi, sur la base de faits exacts, et fournissent des informations « fiables et précises » dans le respect de l’éthique journalistique (voir, par exemple, les arrêts précités Fressoz et Roire, § 54, Bladet Tromsø et Stensaas, § 58, et Prager et Oberschlick, § 37). Le paragraphe 2 de l’article 10 de la Convention souligne que l’exercice de la liberté d’expression comporte des « devoirs et responsabilités », qui valent aussi pour les médias même s’agissant de questions d’un grand intérêt général. De plus, ces devoirs et responsabilités peuvent revêtir de l’importance lorsque l’on risque de porter atteinte à la réputation d’une personne nommément citée et de nuire aux « droits d’autrui ». Ainsi, il doit exister des motifs spécifiques pour pouvoir relever les médias de l’obligation qui leur incombe en principe de vérifier les déclarations factuelles potentiellement diffamatoires à l’encontre de particuliers. A cet égard, entrent spécialement en jeu la nature et le degré de la diffamation en cause et la question de savoir à quel point le média peut raisonnablement considérer ses sources comme crédibles pour ce qui est des allégations incriminées (voir, entres autres, McVicar c. Royaume-Uni, no 46311/99, § 84, CEDH 2002-III, et Standard Verlagsgesellschaft MBH (no 2) c. Autriche, no 37464/02, § 38, 22 février 2007).
53. La nature et la lourdeur des peines infligées sont aussi des éléments à prendre en considération lorsqu’il s’agit de mesurer la proportionnalité de l’ingérence (voir, par exemple, Ceylan c. Turquie [GC], no 23556/94, § 37, CEDH 1999-IV, et Tammer c. Estonie, no 41205/98, § 69, CEDH 2001-I). En particulier, dans l’affaire Cump?n? et Maz?re c. Roumanie ([GC], no 33348/96, §§ 113-115, CEDH 2004-XI), la Cour a affirmé les principes suivants :
« 113. Si les Etats contractants ont la faculté, voire le devoir, en vertu de leurs obligations positives au titre de l’article 8 de la Convention, de réglementer l’exercice de la liberté d’expression de manière à assurer une protection adéquate par la loi de la réputation des individus, ils doivent éviter ce faisant d’adopter des mesures propres à dissuader les médias de remplir leur rôle d’alerte du public en cas d’abus apparents ou supposés de la puissance publique. Les journalistes d’investigation risquent d’être réticents à s’exprimer sur des questions présentant un intérêt général (…) s’ils courent le danger d’être condamnés, lorsque la législation prévoit de telles sanctions pour les attaques injustifiées contre la
réputation d’autrui, à des peines de prison ou d’interdiction d’exercice de la profession.
114. L’effet dissuasif que la crainte de pareilles sanctions emporte pour l’exercice par ces journalistes de
leur liberté d’expression est manifeste (…). Nocif pour la société dans son ensemble, il fait lui aussi partie des éléments à prendre en compte dans le cadre de l’appréciation de la proportionnalité – et donc de la justification – des sanctions infligées (…).
115. Si la fixation des peines est en principe l’apanage des juridictions nationales, la Cour considère qu’une peine de prison infligée pour une infraction commise dans le domaine de la presse n’est compatible avec la liberté d’expression journalistique garantie par l’article 10 de la Convention que dans des circonstances exceptionnelles, notamment lorsque d’autres droits fondamentaux ont été gravement atteints, comme dans l’hypothèse, par exemple, de la diffusion d’un discours de haine ou d’incitation à la violence (…). »
54. Il convient de rappeler, enfin, que dans des affaires comme la présente, qui nécessitent une mise en balance du droit au respect de la vie privée et du droit à la liberté d’expression, la Cour considère que l’issue de la requête ne saurait en principe varier selon qu’elle a été portée devant elle, sous l’angle de l’article 8 de la Convention, par la personne faisant l’objet du reportage ou, sous l’angle de l’article 10, par l’éditeur qui l’a publié. La Corte considera che l’esito della richiesta non potrà variare a seconda che venga portata la questione di fronte ad essa, in termini dell’art. 8 della Convenzione, per la persona oggetto della relazione, o in termini dell’art. 10 per l’editore che l’ha pubblicata. En effet, les droits respectivement garantis par ces dispositions méritent a priori un égal respect. In effetti, i diritti rispettivamente garantiti da queste disposizioni meritano a priori un uguale rispetto. Dès lors, la marge d’appréciation devrait en principe être la même dans les deux cas. Pertanto, il margine d’apprezzamento dovrà in principio essere lo stesso per entrambi i casi. Si la mise en balance par les autorités nationales s’est faite dans le respect des critères établis par la jurisprudence de la Cour, il faut des raisons sérieuses pour que celle-ci substitue son avis à celui des juridictions internes (MGN Limited c. Royaume-Uni, no 39401/04, §§ 150 et 155, 8 janvier 2011 ; Palomo Sánchez et autres c. Espagne [GC], nos 28955/06, 28957/06, 28959/06 et 28964/06, § 57, ECHR 2011-.. ; et Von Hannover c. Allemagne (no 2) [GC], nos 40660/08 et 60641/08, §§ 106-107, ECHR 2012-..).
Se il bilanciamento eseguito dalle autorità nazionali è fatto con il rispetto dei criteri stabiliti dalla giurisprudenza della Corte, devono esserci gravi ragioni per sostituire alla giurisprudenza della Corte quella delle giurisdizioni interne.
ii. Application de ces principes au cas d’espèce
55. La Cour observe tout d’abord que l’article de M. R.I. concernait un sujet d’intérêt général, à savoir les rapports existant entre le parquet et les carabiniers de Palerme dans un domaine aussi délicat que celui de la lutte contre la mafia. La cour d’appel de Milan a par ailleurs admis qu’il y avait un intérêt à informer le public quant à de possibles conflits entre les organes de l’Etat (paragraphe 24 ci-dessus).
56. Quant à la teneur de l’article incriminé, la Cour ne saurait considérer comme arbitraire ou manifestement erronée l’appréciation de la cour d’appel de Milan, selon laquelle M. R.I. avait attribué aux magistrats du parquet des comportements impliquant une utilisation détournée de leurs pouvoirs institutionnels, tels qu’une « persécution » à l’encontre du général Mori, le « petit jeu » consistant en l’ouverture de procédures pénales destinées à être classées sans suite, l’omission d’enquêter sur certains hommes politiques et entrepreneurs et la possibilité, laissée au repenti Di Maggio, de commettre des homicides (paragraphe 19 ci-dessus). De plus, l’article donnait l’impression que les magistrats en question avaient poussé au suicide le maréchal Lombardo et qu’ils étaient d’une certaine façon responsables de la mort de l’un de leurs collègues (paragraphe 21 ci-dessus). Aux yeux de la Cour, il s’agit d’accusations graves à l’encontre de fonctionnaires de l’Etat, non étayées par des éléments objectifs. En effet, les quatre épisodes qui selon M. R.I. étaient symptomatiques d’une « guerre » entre le parquet et les carabiniers ne pouvaient en eux-mêmes constituer la preuve des comportements résumés ci-dessus.
57. Sous cet aspect, la présente affaire se rapproche de l’affaire Perna, précitée, qui concernait la condamnation d’un journaliste pour avoir mis en doute la fidélité au principe de légalité, l’objectivité et l’indépendance d’un membre du parquet, en l’accusant, en outre, d’avoir exercé son office de manière incorrecte et d’avoir eu un comportement illégal. Dans cette dernière affaire, la Grande Chambre a conclu à la non-violation de l’article 10 de la Convention en observant, entre autres, que le texte litigieux, considéré dans sa globalité, « excluait que le magistrat concerné fût respectueux des obligations déontologiques propres à sa fonction et lui déniait de surcroît les qualités d’impartialité, d’indépendance et d’objectivité qui caractérisent l’exercice de l’activité judiciaire ». De plus, les affirmations du requérant se réduisaient à une attaque injustifiée contre le plaignant, qui était constamment et subtilement dénigré.
58. Il est vrai que l’affaire Perna concernait la condamnation de l’auteur de l’article, alors que la présente affaire porte sur la condamnation du directeur du journal dans lequel l’article avait été publié, pour avoir omis d’exercer le contrôle nécessaire à la prévention de la commission d’infractions par voie de presse. Cependant, la Cour ne saurait ni considérer comme contraire à la Convention l’article 57 du CP, qui pose ce devoir de contrôle (paragraphe 7 ci-dessus), ni estimer que la qualité de membre du Parlement de l’auteur d’un article puisse automatiquement exonérer le directeur d’un journal de toute obligation de refuser la publication d’affirmations diffamatoires. Conclure autrement équivaudrait à attribuer aux députés et aux sénateurs le droit inconditionné de publier et diffuser par la presse toute opinion liée à l’exercice de leur mandat parlementaire, si insultante soit-elle. A cet égard, la Cour rappelle que la liberté d’expression des élus du peuple n’est pas illimitée ; elle a estimé, notamment, qu’elle ne saurait justifier un déni total d’accès à la justice lorsque des affirmations perçues comme diffamatoires par autrui sont faites par un membre du Parlement en l’absence d’un lien évident avec une activité parlementaire (voir, entre autres, Cordova (no 1), précité, §§ 59-66). Le requérant n’était donc pas exempté de son devoir de contrôle, et cela d’autant plus au vu des antécédents de M. R.I. qui, en dépit de sa qualité de sénateur, avait déjà fait l’objet de condamnations pénales définitives pour diffamation (paragraphes 22-25 ci-dessus).
58.E’ vero che l’affare Perna concerne la condanna dell’autore dell’articolo, mentre il presente caso si concentra sulla condanna di un direttore di giornale dove l’articolo è stato pubblicato, per aver omesso l’esercizio del controllo necessario alla prevenzione dell’esecuzione di infrazioni mediante la stampa. Tuttavia, la Corte non può nè considerare come contrario alla Convenzione l’articolo 57 del Codice Penale che ha posto questo dovere di controllo; nè valutare che la qualità di membro del Parlamento dell’autore di un articolo possa automaticamente esonerare il direttore del giornale da qualsiasi obbligo di rifiutare la pubblicazione di affermazioni diffamatorie. Concludere altrimenti, equivarrebbe ad attribuire ai deputati e ai senatori il diritto incondizionato di pubblicare e diffondere tramite la stampa qualsiasi opinione relativa all’esercizio del loro mandato parlamentare, anche se offensive.
A questo riguardo, la Corte rammenta che la libertà di espressione di un eletto dal popolo non è illimitata; la Corte ha considerato,in particolare, che non può essere giustificato un diniego totale di accesso alla giustizia quando delle affermazioni percepite dagli altri come diffamatorie sono fatte da un membro del Parlamento in assenza di un chiaro legame con l’attività parlamentare. Il ricorrente non è stato dunque esentato dal proprio dovere di controllo, e tanto più stante gli antecedenti di M.R.I. che, nonostante la sua qualità di senatore, era già stato oggetto di condanne penale per diffamazione.
60. A la lumière de ce qui précède, la Cour ne saurait conclure qu’une condamnation à l’encontre du requérant était en soi contraire à l’article 10 de la Convention.
60.Alla luce di quanto precede, la Corte non può concludere che una condanna nei confronti del
ricorrente sarebbe di per sé in contrasto con l’articolo 10 della Convenzione.
61. Il n’en demeure pas moins que, comme rappelé au paragraphe 53 ci-dessus, la nature et la lourdeur des peines infligées sont aussi des éléments à prendre en considération lorsqu’il s’agit de mesurer la proportionnalité de l’ingérence. Or, en l’espèce, outre la réparation des dommages (pour un montant total de 110 000 EUR), le requérant a été condamné à quatre mois d’emprisonnement (paragraphe 18 ci-dessus). Bien qu’il y ait eu sursis à l’exécution de cette sanction, la Cour considère que l’infliction en particulier d’une peine de prison a pu avoir un effet dissuasif significatif. Par ailleurs, le cas d’espèce, portant sur un manque de contrôle dans le cadre d’une diffamation, n’était marqué par aucune circonstance exceptionnelle justifiant le recours à une sanction aussi sévère. Ceci permet de distinguer la présente affaire de l’affaire Perna, précitée, où la peine infligée était une simple amende.
62. La Cour estime que, à cause de la mesure et de la nature de la sanction imposée au requérant, l’ingérence dans le droit à la liberté d’expression de ce dernier n’était pas proportionnée aux buts légitimes poursuivis (voir, mutatis mutandis, Koprivica c. Monténégro, no 41158/09, §§ 73-74, 22 novembre 2011).
63. Il y a donc eu violation de l’article 10 de la Convention.
61.Resta il fatto che, come si rammenta al paragrafo 53, la natura e la severità delle pene inflitte sono anch’essi degli elementi da prendere in considerazione quando si tratta di valutare la proporzionalità dell’ingerenza. Ora nella specie, oltre alla riparazione dei danni (per un ammontare ttale di 110.000,00 euro), il ricorrente è stato condannato a quattro mesi di prigione. Anche se c’è stata la sospensione di questa sanzione, la Corte considera che l’inflizione di una particolare pena detentiva può avere un effetto deterrente significativo. Inoltre, il caso di specie, che tratta di un mancato controllo nel contesto di una diffamazione, non è stato caratterizzato per nessuna circostanza eccezionale che giustifichi il ricorso a una sanzione così severa. Questo permette di distinguere il presente caso dall’affare Perna in cui la pena inflitta è stata una semplice ammenda.
62. La Corte valuta che, a causa della misura e della natura della sanzione imposta al ricorrente, l’ingerenza nel diritto alla libertà di espressione di quest’ultimo non è stata proporzionata ai legittimi obiettivi perseguiti.
63. C’è dunque una violazione dell’articolo 10 della Convenzione.