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Google suggest e' diffamatorio
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Diritto digitale di Deborah Bianchi
21 novembre 2012 17:52
 
Australia, 13 novembre 2012, Google deve risarcire per la diffamazione 200mila dollari australiani (circa 164mila euro): è la pena pecuniaria stabilita dalla giustizia australiana a Google dopo la condanna per diffamazione a danno di un utente del motore di ricerca. La vicenda sottesa alla querelle giudiziaria narra la storia di un utente che si è visto accompagnare il proprio nome con foto e dati relativi a soggetti vicini al mondo del crimine. L'utente in parola ha cercato tramite il proprio avvocato di segnalare l'associazione lesiva compiuta dal servizio Google suggest ma il motore di ricerca ha rigettato la richiesta asserendo la propria posizione rispetto all'attività di associazione condotta dall'algoritmo. La faccenda è finita in tribunale ma il giudice ha visto la questione in modo diverso e ha condannato Google per diffamazione paragonandola all'edicolante che vende anche giornali con contenuto diffamatorio. Il motore di ricerca, infatti, non è stato condannato per la pubblicazione delle immagini in sé, quanto per non averle rimosse una volta ricevuta la segnalazione. A sommesso avviso di chi scrive il paragone con l'edicolante o ancor peggio con l'editore riguardo a Google non regge. E' condivisibile invece la seconda argomentazione ovvero il fatto che una volta avvisato dell'associazione lesiva prodotta dall'algoritmo di Google suggest BigG avrebbe ben potuto provvedere.
Google è stata condannata anche in Francia per le associazioni di chiavi di ricerca offerte attraverso il suo servizio Google Suggest: stavolta il ricorso viene da un'azienda che opera nel settore immobiliare, Lyonnaise de Garantie, e che vedeva il proprio nome associato alla parola "escroc" che significa in francese "truffatore".
Sempre in Francia Google è stato condannato in precedenza sempre per le stesse ragioni in altri due casi. Il caso dell'azienda Direct Energie che lamentava l'associazione nei suggerimenti del motore di ricerca del suo marchio alla parola arnaque, il corrispettivo francese di "frode", e che si era vista dare ragione in tribunale.
Il caso del tribunale d'appello di Parigi che aveva condannato Google per diffamazione quando ad accusarlo era un privato il cui nome era associato ai termini "violenza", "condannato", "satanista", "prigione" e "stupratore".
Nell'ultimo caso francese attinente alla società Lyonnaise la sentenza condanna Google a pagare alla querelante 50mila euro, sentenza confermata in appello. Questa pronunzia si inscrive in un orientamento ormai definito della giurisprudenza francese che sembra dare per assodato la responsabilità civile di Google per i termini suggeriti agli utenti nel momento della digitazione di una query tramite Google Suggest se tale associazione di idee è offensiva o diffamante nei confronti dei soggetti coinvolti.

Davanti ai tribunali francesi, dunque, non è stata accolta neanche la tesi difensiva di Google per cui i termini sono associati da un algoritmo e non da una scelta discrezionale umana: secondo i giudici francesi Google non sarebbe riuscita a dimostrare che le parole suggerite siano solo il frutto "di un mero calcolo statistico di tutte le precedenti ricerche con gli stessi termini".

Per motivi simili Google è stata convocata in tribunale anche in Svezia, in Irlanda e in Italia e già condannata in Brasile e assolta nel Regno Unito.
Medesimo scenario affrontato dal tribunale di Milano che con l'Ordinanza 31 marzo 2011 ha condannato Google Suggest per le proprie associazioni. Il tribunale di Milano si è dovuto esprimere in merito a delle lamentele presentate da un imprenditore del settore finanziario, che peraltro pubblicizzava la sua attività anche tramite Internet: nel digitare il proprio nome e cognome nel motore di ricerca di Google, attraverso il servizio Suggest search, vedeva affiancarsi le parole "truffa" e "truffatore". L'abbinamento del proprio nome con tali parole costituiva per il ricorrente un suggerimento non veritiero e diffamatorio, lesivo del suo onore, della sua immagine pubblica e professionale. Per tale motivo ha adito le vie legali presentando richiesta di rimozione dal servizio Suggest dell'associazione ritenuta ingiuriosa e chiedendo un risarcimento per ogni giorno di ritardo nell'adempimento dell'ordine del giudice. Il Tribunale ha ritenuto di dover condividere la valutazione emessa in prima istanza che aveva ritenuto diffamatoria l'associazione del nome del ricorrente con le parole truffa e truffatore. "L'utente che legge tale abbinamento - si sottolinea  nella decisione - è indotto immediatamente a dubitare dell'integrità morale del soggetto il cui nome appare associato a tali parole ed a sospettare una condotta non lecita da parte dello stesso". Irrilevanti, inoltre, sono state definite le tesi presentate dal colosso della ricerca in merito a tale aspetto, che ha sottolineato come "l'utente di Internet è perfettamente in grado di discernere i contenuti offerti dalla Rete". Tale assunto rappresenterebbe per il Tribunale una affermazione discutibile trattandosi di una affermazione priva di riscontro obiettivo... In particolare, tenendo in considerazione il "diverso livello culturale e le capacità assai variegate in ambito informatico da parte degli utenti della Rete" la tesi presentata da Mountain View a giustificazione dell'accaduto non apparirebbe condivisibile, probabilmente utopistica in riferimento all'utente medio del sistema e ancor più riguardo la maggioranza di essi.

Secondo il Tribunale, inoltre, ritenuta diffamatoria l'associazione del nome e cognome del ricorrente alle parole truffa e truffatore, è "innegabilmente di per sé foriera di danni al suo onore, alla sua persona ed alla sua professionalità", inoltre la "potenzialità lesiva della condotta addebitata alla reclamante appare suscettibile, per la sua peculiare natura e per le modalità con cui viene realizzata, di ingravescenza con il passare del tempo stante la notoria frequenza e diffusione dell'impiego del motore di ricerca".
La situazione sarebbe aggravata anche dal fatto che il ricorrente utilizza il web per la propria attività professionale. Pertanto il giudice di Milano rigettando il ricorso di Mountain View ha condannato Google a rimborsare 1.500 euro per i diritti lesi e 2.300 per onorari vari e spese legali.
 
 
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